L’esposizione presenta una selezione di lavori di Mario Merz che spazia dalle installazioni, di cui un igloo e due grandi tavoli, alle tele e opere su carta fino a includere un video documentario. Fulcro della mostra, la grande opera Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia (1985) pensata e allestita in origine per la mostra personale da Sperone Westwater e Leo Castelli negli Stati Uniti e in questa occasione presentata per la prima volta in Europa.
Nelle opere presenti in mostra vi sono elementi e concetti che si ripropongono, legandosi in un percorso che si collega al concetto immaginato dall’artista nella frase da lui composta, “che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola”. L’igloo Senza titolo (1997), immerso nell’atmosfera della prima sala, ritorna negli spazi espositivi della Fondazione dopo quasi vent’anni, e si presenta come una cupola cosmica che, attraverso le sue foglie d’oro, respira la luce reale dell’ambiente e libera riflessi dorati.
Il concetto di luce rimanda anche all’utilizzo del neon, che dirige la mente su particolari insospettati, sottolineando elementi naturali e conviviali come nel caso di L’horizont de lumière traverse notre vertical du jour (1995) in cui vasi riempiti di vino e miele evidenziano insieme un riferimento al tempo e al corpo. Questa attenzione per la natura che si trasforma in cultura, trova una estrema espressione in Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia (1985) a rappresentare una magnifica unione tra elementi e significanti. Il tavolo, elemento che è sempre stato per Mario Merz una struttura primaria in grado di rispondere ai bisogni essenziali e di sostentamento, rappresenta anche un luogo in cui affondano le radici del mangiare e dell’accoglienza. Qui, le foglie sono al tempo stesso tavolo e albero, elementi che si dispiegano verso l’interno ma in grado di aprirsi verso l’esterno, a evidenziare, ancora una volta, il simbolismo della proliferazione in grado di rendere visibili intervalli crescenti di spazio e di tempo, espressi anche dagli elementi incorporati nella superficie del tavolo in cera. Forme spiraliche e cuneiformi, segni di movimento ed espressione di ciò che Merz definiva come il sollevarsi della materia su sé stessa. L’utilizzo della cera diviene il fulcro che unisce insieme i riferimenti naturali, temporali e strutturali; è significativo, infatti che sia un materiale ottenuto da processi organici all’interno di complesse strutture sociali.
A completare l’esposizione, disegni e tele alle pareti trasformano le sale in un territorio in cui è possibile fare esperienza di essere al mondo, coerentemente con l’idea di Mario Merz di abitare uno spazio, non tanto di “fare” una mostra. Il visitatore si ritrova catapultato nel tempo della mostra, suggerendo sempre un ritorno alla quotidianità dove la nostra attenzione viene indirizzata verso una meraviglia delle cose ordinarie a cui non dedichiamo mai sufficiente attenzione.